PERCHE’ QUESTA GUERRA È UNA GUERRA REAZIONARIA
Con la fine del blocco sovietico è
venuto meno un ordine mondiale. Questa è ormai un’evidenza che rasenta la
banalità. Si trattava di un ordine basato sulla divisione in tre blocchi (non
solo due, poiché tra i due andava consolidandosi il blocco dei cosiddetti non
alleati) basato in buona parte sull’equilibrio nucleare e sull’implicito
terrore.
Le categorie politiche che davano
forma a quell’ordine erano quelle impiantate sulla dicotomia amico/nemico. Si
tratta delle categorie politiche convergenti nella categoria della sovranità. L’ordine
interno e quello internazionale veniva pensato e quindi praticato secondo
questa categoria fondamentale, sebbene declinata diversamente. Le varie
costituzioni, ossia le varie forme di organizzazione dei poteri e dei rapporti
di questi con gli abitanti di un determinato territorio, non sono altro che
declinazioni diverse del principio di sovranità. Ovviamente quell’ordine
contemplava differenze di sovranità, nel senso che alcuni stati erano più
sovrani degli altri con gradazioni che andavano dal massimo di sovranità (USA e
URSS) al minimo di sovranità di stati di fatto più simili a protettorati o
colonie.
Al di sotto di quest’ordine
globale organizzato per stati, non privo di guerre locali, di atrocità e
massacri, lavorava però la “vecchia talpa” della storia, intessendo relazioni non
solo commerciali, ma anche scientifiche e tecnologiche, creando la possibilità
di un’integrazione al di là delle differenze.
Con la caduta del blocco sovietico
la cosa peggiore che poteva essere fatta, ma che è stata fatta, era quella di
pensare il fenomeno come la vittoria di una compagine sovrana a scapito di un’altra,
che perciò doveva essere trattata da nemico sconfitto.
Si cominciarono a tessere gli
elogi della globalizzazione, ma sotto questo termine si celava, come ha detto
bene di recente Lucio Caracciolo, l’ideologia dei supposti vincitori. La
Globalizzazione non era altro che il progetto di una pax americana salvaguardata
dalla NATO che opportunamente modificò il suo statuto.
Pochi si resero conto che quel
crollo costituiva una cesura nella storia e non la sua fine. Il crollo
sovietico offriva un’opportunità: scomparso il nemico, l’Occidente poteva guardare
al mondo e alle sue trasformazioni con meno apprensioni; si poteva dare spazio
a nuove culture, al dialogo tra gli scienziati, studiare in modo innovativo
(libero da ideologia) l’impatto delle tecnologie sull’ambiente, le trasformazioni
delle dinamiche demografiche e delle popolazioni in genere. Nulla di tutto ciò
accadde perché all’ombra della pax americana si pensò di regolare il mondo con
le ricette economiche delle istituzioni di Bretton woods (Fondo monetario e
Banca mondiale), anch’esse mutate rispetto ai loro fini originari. Il
cosiddetto neoliberismo trionfava.
Il mondo veniva inquadrato secondo
categorie novecentesche; non più quelle politiche, bensì quelle economiche e la
politica, sia quella praticata che quella pensata, si accodava al pensiero
dominante e non elaborava nulla di nuovo; mentre le problematiche emergenti da
un mondo sempre più connesso richiedevano una soluzione politica difficile da
trovare nell’orizzonte definito dalla sovranità.
È successo quindi che di fronte ai
problemi emergenti su un terreno del tutto nuovo, in Occidente il vecchio
armamentario politico è stato rimesso in campo da una nuova classe politica
(Trump e tutti i populisti di destra) con cui le vecchie classi dirigenti han
dovuto fare i conti e ancora li stanno facendo con esiti del tutto incerti;
soprattutto negli USA dove le fratture sembrano accentuarsi piuttosto che
ricomporsi. Fuori dall’Occidente, in Russia, la reazione anti USA ha portato in
auge oligarchie che hanno trovato nella tradizione imperiale incentrata sulla
sovranità territoriale uno strumento potente di consolidamento del potere.
Anche ciò che è accaduto in
Ucraina e in altri stati dell’est può essere spiegato come reazione sovranista
e nazionalista gestita da alcuni oligarchi.
Ecco quindi il mondo ripiombato
nel peggiore Novecento, con un disordine mondiale la cui soluzione viene
cercata attraverso la guerra di fatto mondiale.
Questa guerra è una guerra
reazionaria perché nasce dal fallimento di un progetto sbagliato di
globalizzazione e ripropone categorie e prassi politiche non più praticabili al
cospetto di un mondo sempre più connesso, in cui tecnologie sempre più
pervasive pongono problemi che nulla hanno a che fare con gli ordinamenti
propri degli stati territoriali, organizzati secondo il principio di sovranità.
Personalmente mi rifiuto di
prendere parte ad un dibattito novecentesco, da guerra fredda o addirittura da
prima guerra mondiale. So però che bisogna uscire da questa guerra e per
uscirne bisogna prescindere dalla logica amico/nemico, riconquistando una
prospettiva che muova dalle dinamiche della popolazione mondiale, dalle sue
dinamiche demografiche, di mobilità, di inurbamento e di accesso alle
tecnologie. Sicuramente qui si aprono nuovi conflitti, ma che non sono quelli della
contesa tra stati egemonizzati da élite vecchie per formazione o nuove perché
di recente costituzione ma vecchie per l’ideologia che propagano (sovranismo e
nazionalismo).
La storia, che non finì affatto
nell’89 e che oggi si propone con le vecchie fattezze della guerra tra stati
sovrani, deve essere portata su un terreno nuovo. Mancano tuttavia i soggetti
politici in grado di farlo.
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