L'Idealismo della scienza
In
Platone converge, per acquisire una nuova fisionomia
antisofistica, il pensiero dei primi pensatori che avevano cercato il
principio (arché) da cui ogni ente deriva il proprio essere. Su questo punto è
essenziale la lezione del Cassirer.
L’atteggiamento filosofico di fronte al mondo compare quando dalla considerazione del molteplice esistente si risveglia la coscienza dell’unità dell’essere.
Inizialmente la soluzione del problema venne cercata senza abbandonare il terreno dell’esistente molteplice. «Si estrae un esistente singolo, particolare e limitato, per dedurre e ‘spiegare’ geneticamente ogni altro in base ad esso» (Fenomenologia delle forme simboliche. Il linguaggio, La Nuova Italia, 1987, p. 3)
A questo livello della riflessione il problema
dell’essere non è stato ancora colto nel suo autentico significato. Anche
quando il principio viene indicato in un ente ideale (ad esempio il numero di
Pitagora o l’atomo di Democrito), quel principio resta ancora sospeso tra il
“fisico” e lo “spirituale”, essendo quest’ultimo il terreno autentico per
l’impostazione del problema dell’essere.
Colui
che ha deciso in modo netto per la corretta formulazione del problema è stato
Platone. Questi ha introdotto l’ «essenziale presupposto spirituale» quando ha
fatto di ciò che era il punto di partenza dei presocratici il vero problema. In
altri termini «Egli non ricerca più semplicemente l’articolazione, la
costituzione e la struttura dell’essere, ma il suo concetto e il significato di
questo concetto». Ciò che interessa non è la struttura dell’essere, ma il suo
significato ideale.
L’idealismo è la spinta fondamentale della conoscenza, non solo
filosofica. Mentre il realismo tende a fissarsi ad un’essenza ritenuta ultima
delle cose, l’idealismo trasforma in problema questa stessa essenza.
La
scienza si caratterizza per un movimento che dissolve i fatti in leggi e queste
negli assiomi e nei principi. Ma per la conoscenza autentica, questi stessi
principi diventano ben presto problemi.
Alla
luce dell’idealismo proprio della conoscenza, l’unità dell’essere non appare
più come un punto di partenza, ma un risultato da ottenere. «A misura che
questo punto di vista si svolge e si afferma nella scienza, viene tolto in essa
il terreno dell’ingenua teoria della conoscenza intesa come rispecchiamento»
(E. Cassirer)
Il
tratto caratteristico della nostra epoca è costituito dal ruolo determinante
che la scienza svolge in essa. Il nostro è il tempo dominato dallo spirito
scientifico e la filosofia, che ha il compito di comprendere il proprio tempo,
non può fare a meno di confrontarsi con un simile spirito.
La
nascita e il progresso delle scienze moderne hanno meglio articolato il sistema
della ragione, liberando le forme della spiegazione da “logiche” che
appartengono ad altri ambiti di quel sistema.
Così Galileo dispiegò la logica scientifica moderna, Bacone
denunciò le confusioni in cui il sapere era incorso, Hobbes colse l’elemento
essenziale del discorso scientifico, individuando nella proposizione la chiave
della nozione di verità che esso comportava. Ma nasce qui anche la pretesa di ridurre l’intero sistema della ragione al tipo di verità propria del sapere
scientifico moderno.
La teoria
positivistica della conoscenza si fonda sull’eliminazione delle problematiche
trascendentali (indagine sulle condizioni della conoscenza possibile)
eliminando con esse il problema del senso delle scienze cosiddette positive,
divenendo esse stesse l’unica forma di conoscenza.
L’universo
rappresentato dalla rivoluzione copernicana, approfondita dagli studi
successivi, era un universo in cui la fisica aristotelica non poteva più
spiegare nulla. Rovesciando il punto di vista, possiamo dire che l’universo
copernicano era semplicemente assurdo per un aristotelico. Per rendere
plausibile quell’universo bisognava inventare una nuova fisica. Questa
invenzione venne da Galileo Galilei.
L’applicazione
della matematica allo studio dei fenomeni e l’indagine degli stessi attraverso
esprimenti controllati sono i pilastri del metodo sperimentale, costitutivo
della scienza moderna. Questo metodo fu possibile quando la spiegazione dei
fenomeni non si servì più delle cause aristoteliche (formale, materiale,
efficiente e finale) e fu intesa come ricerca di rapporti costanti tra
fenomeni. Questi rapporti erano per Galilei rapporti quantitativi. In altri
termini spiegare un fenomeno nella scienza galileiana significa cercare la
legge che lo governa, essendo questa un rapporto costante tra grandezze. Il
concetto fondamentale della scienza galileiana non è più quello di sostanza,
bensì quello di funzione. Quando la scienza moderna stabilisce dei rapporti tra
fenomeni indica semplicemente il variare di un fenomeno al variare dell’altro,
senza che ciò debba implicare la definizione di un rapporto univoco di causa ed
effetto. Le leggi sono delle funzioni che mettono in relazione delle variabili.
Nel positivismo
comtiano lo spirito scientifico, la sua promozione, è il compito della
filosofia, impegnata a favorire il passaggio dall’età metafisica dello spirito
a quella positiva. L’evoluzione verso una simile meta è segnata dal progressivo
estendersi del metodo scientifico ad ambiti sempre più complessi del reale. Il
culmine di un simile processo si ha quando i fenomeni sociali diventano oggetto di una disciplina scientifica e la società può essere organizzata su
basi scientifiche.
Lo stato positivo
dello spirito umano è caratterizzato dalla rinuncia ad ogni conoscenza delle
cause ultime dei fenomeni, limitandosi a conoscere, "con l’uso ben combinato
del ragionamento e dell’osservazione", le leggi dei fenomeni, ossia «le loro
relazioni invariabili di successione o di similitudine".
La spiegazione non
consiste più nella riduzione dei fenomeni alle loro cause «primarie» o
«finali», ma nella riduzione dei fatti ad un fatto fondamentale. Caso
emblematico è la legge di gravitazione universale.
Compito dello
spirito positivo è ridurre il più possibile il numero dei fatti fondamentali,
ossia delle leggi che governano i fenomeni. La conoscenza non può che essere
conoscenza di fatti e non di principi che siano al di là dei fatti.
Per Comte lo spirito umano è
naturalmente rivolto all’estensione del metodo delle scienze positive, così che
progressivamente questo metodo viene applicato a nuovi oggetti, procedendo dai
più semplici ai più complessi. Da ciò deriva che l’articolazione della ricerca
scientifica in diverse discipline corrisponde alla naturale evoluzione dello
spirito umano. «Ogni nuovo oggetto – ha scritto il Cassirer – diventa per la
conoscenza umana occasione e stimolante invito a sviluppare un nuovo organo
logico che sia adeguato a quell’oggetto». Con questo non si vuol dire che ogni
singolo oggetto ha bisogno di una logica particolare; si vuol dire che più
oggetti aventi un identico grado di complessità richiedono logiche di ricerca
simili. In questo modo la classificazione comtiana delle scienze, individua
alcuni ambiti fondamentali di ricerca irriducibili l’uno all’altro. Viene così
esclusa la frammentazione del sapere tipica dello specialismo, senza però
ricorrere all’unità assoluta di tutte le scienze sotto un’unica disciplina (ad
esempio la matematica). Le sei discipline fondamentali (matematica, astronomia,
fisica, chimica, biologia e sociologia) «hanno compiti, metodi, strutture
effettivamente ben distinti, onde sarebbe un grave errore volerle ridurre a una
confusa unità» (L. Geymonat).
I risultati del
positivismo presuppongono un’ontologia ben definita, un’idea della realtà degli
enti o delle loro caratteristiche. Tuttavia oggi quest'ontologia non è più
proponibile. E di ciò è consapevole la stessa scienza
La riflessione
filosofica degli scienziati post positivisti ha rivisto radicalmente la visione
della scienza, sostanzialmente ancora ingenua, del positivismo. Ernst Mach, ad
esempio, con la sua dottrina degli elementi, critica e dissolve l’unità della
coscienza e dell’oggetto, ma nello stesso tempo pone le basi per una concezione
della realtà (del mondo come totalità dei fatti).
L’istanza
positivistica di studiare con metodo scientifico anche i fenomeni propriamente
umani, agì al di là dell’ambito individuato da quella corrente filosofica. Si
volle però sottolineare la specificità di questo ambito, distinguendolo da
quello di cui si interessavano le scienze della natura. Si cercò quindi di
distinguere queste dalle scienze dello spirito e di definire il metodo di
quest’ultime.
I distinguo
metodologici tra scienze della natura e scienze dello spirito, in alcuni casi
intendevano salvaguardare concetti e valori fondamentali intorno a cui si era
costruita l’intera cultura europea.
Una considerazione
attenta di quanto accadde ad alcune scienze nella seconda metà dell’Ottocento,
rivela come l’esigenza di un approfondimento critico nato all’interno delle
stesse scienze abbia prodotto un cambiamento radicale nella ricerca scientifica
e per alcuni versi nel modo stesso di intendere le scienze. Queste
trasformazioni hanno rivelato «che la scienza non è un edificio costruito una
volta per tutte e passibile di progresso per l’aggiunta di nuovi blocchi ai
precedenti, ma è fornita di una dialettica interna che talvolta richiede non
solo l’ampliamento della vecchia costruzione ma la sua completa
ristrutturazione su basi del tutto nuove. Viene così a cadere la concezione di
Comte, secondo cui le sole innovazioni radicali avrebbero luogo nel trapasso
dal primo al secondo stadio del conoscere umano (cioè dallo stadio teologico a
quello metafisico), e poi dal secondo al terzo (positivo), ma non oltre; si
comprende invece che la stessa conoscenza scientifica possiede una propria
storia, la cui evoluzione non è meno laboriosa e significativa dell’evoluzione
del sapere prescientifico» (L. Geymonat)
Sul finire del XIX
secolo si sviluppò una vasta riflessione che della scienza prese in
considerazione il metodo, la natura dell’oggetto e il valore. Quando usiamo il
termine valore intendiamo riferirci non solo al ‘valore di verità’ degli
asserti scientifici, ma anche ad un senso generale del termine che sopravanza
l’ambito strettamente teoretico. Si trattava di dare la giusta collocazione
alla scienza nel più ampio campo delle produzioni spirituali, riconoscendo ad
ognuna la propria norma e il proprio valore.
Il valore
teoretico della scienza fu cercato nelle sue forme a priori, indagate alla luce
dell’insegnamento kantiano.
È su questo
terreno che si colloca il lavoro di Ernst Cassirer, secondo cui ciò che
conferisce unità e oggettività alla conoscenza della natura non è un oggetto in
sé (appunto la natura) ma «un determinato indirizzo unitario della conoscenza».
Ciò che si pone come conoscenza scientifica deve necessariamente conformarsi
alle categorie essenziali di una simile conoscenza («chiarezza, assenza di
contraddizioni e univocità descrittiva»)
Tuttavia, «se la
definizione, la determinazione dell’oggetto del conoscere può avvenire solo
attraverso la mediazione di una peculiare struttura logico-concettuale, bisogna
accettare la conclusione che ad una diversità di questi mezzi debba
corrispondere necessariamente anche una diversa disposizione dell’oggetto, un
diverso significato di nessi “oggettivi”. Quindi neppure entro la sfera della
“natura” l’oggetto della fisica coincide semplicemente con l’oggetto della
chimica con quello della biologia, perché la conoscenza fisica, la conoscenza
chimica, la conoscenza biologica includono in sé ciascuna un punto di vista
particolare nell’impostazione del problema e conformemente a questo punto di
vista conferiscono ai fenomeni forma e significato specifici» (Fenomenologia delle forme simboliche. Il
linguaggio, La Nuova Italia, 1987, p. 9)
Compito della
critica filosofica della scienza è quello di mettere in luce l’unità sottesa
alle diverse forme conoscitive; unità che non sarà più unità dell’oggetto in
sé. Più precisamente compito di una simile critica sarà di stabilire se i
simboli secondo cui le singole discipline considerano la realtà siano
semplicemente giustapposti, oppure «si possono intender come manifestazioni di
un’unica e medesima fondamentale funzione spirituale». Quindi, qualora una
simile considerazione sia possibile, si tratta di stabilire le condizioni
dell’unica funzione e il principio che la governa.
Le funzioni
conoscitive costituiscono solo uno dei modi possibili di dare unità al
molteplice; quel modo che subordina il molteplice al “principio di ragione”:
"far rientrare il particolare in una forma intesa come legge e come ordine
universale; essendo quest’ordine di natura logico-concettuale". Accanto a
quella della conoscenza, esistono altre attività formatrici, ossia altri modi
di “obiettivazione”, vale a dire altri mezzi per dare a un’entità individuale
un valore universale. Tutte queste forme condividono il medesimo principio
spirituale, ma sono reciprocamente autonome e non deducibili l’una dall’altra
né risolvibili l’una nell’altra.
Il riconoscimento di queste forme (l’arte, il linguaggio, il mito, la conoscenza), pone un nuovo compito alla filosofia critica, che non può più limitarsi ad essere filosofia critica della conoscenza.
Si apre la prospettiva di una filosofia generale delle
scienze dello spirito, che per Cassirer coincide con la critica della civiltà.
«Essa cerca di intendere e di dimostrare come ogni contenuto della civiltà, in
quanto è fondato su un generale principio formale, ha come presupposto
un’originaria attività dello spirito» (Fenomenologia delle forme simboliche. Il
linguaggio, La Nuova Italia, 1987, p. 12) Ciò che qui Cassirer definisce
come presupposto, non è tuttavia tale per l’indagine, essendo piuttosto il
risultato. Più precisamente, ad essere presupposta è ciò che Cassirer definisce
“un’originaria attività dello spirito” senza tuttavia che essa sia già presente
nella sua totalità ricca di contenuto, così che per l’indagine si tratterebbe
solo di dedurre quel contenuto stesso. "La schietta, la concreta totalità
dello spirito non può fin dal principio essere indicata in una semplice formula
ed essere per così dire fornita già bella e pronta, ma si sviluppa, si ritrova
solo nel processo costantemente progredente dell’analisi critica" (Fenomenologia delle forme simboliche. Il
linguaggio, La Nuova Italia, 1987, p. 11)
Conformemente al
principio dell’idealismo, secondo cui ciò che è presupposto non è esente da
ulteriori sviluppi, bisogna affidarsi completamente all’analisi critica
spingendola continuamente sulla via da essa tracciata. Ragion per cui non ci si
deve meravigliare se, cammin facendo, il presupposto da cui si era partiti si
trasforma sotto le nostre stesse mani. Bisogna però distinguere ciò che è
risultato di analisi da ciò che è solo un volo della fantasia.
Seguendo
l’insegnamento della filosofia del linguaggio, si afferma che scopo della
filosofia in generale è quello di cercare “la forma interiore” del mito,
dell’arte, della religione e della conoscenza scientifica. Quindi l’analisi
critica non ha, per Cassirer, solo una funzione negativa, secondo la lezione
dominante della storia della filosofia, ma anche una funzione positiva nella
misura in cui essa deve esplicitare la natura essenziale delle diverse “forme
interiori”. La funzione negativa dell’analisi critica è resa necessaria dalla
tendenza delle forme simboliche ad essere dominanti, se si vuole una tendenza
ad una sorta di inerzia che tende a far permanere elementi estranei in quelle
forme che, una volta presentatesi, dovrebbero essere pienamente autonome. «Le
singole direzioni della vita spirituale non si affiancano pacificamente per
integrarsi a vicenda, ma ciascuna diviene ciò che essa è solo rivelando la sua
peculiare virtù contro le altre e in lotta con le altre» (Fenomenologia delle forme simboliche. Il linguaggio, La Nuova
Italia, 1987, p. 15)
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