«Fino alla seconda
metà del XV secolo, o ancora un po’ oltre, il tema della morte regna da solo.
La fine dell’uomo, la fine dei tempi prendono l’aspetto delle pesti e delle
guerre. Questa conclusione e quest’ordine ai quali nessuno sfugge dominano l’esistenza
umana. La presenza che minaccia all’interno stesso del mondo è una presenza
scarnita. Ed ecco che, negli ultimi anni del secolo, questa grande inquietudine
gira su se stessa; la derisione della follia prende il posto della morte e
della sua serietà. Dalla scoperta di quella serietà che fatalmente riduceva l’uomo
a niente, si è passati alla contemplazione sprezzante di questo nulla che è l’esistenza
stessa»
«L’annientamento
della morte non è più niente perché era già tutto, poiché la vita non è essa
stessa che fatuità, vane parole, strepito di sonagli e scettri di follia. La
testa che sarà cranio è già vuota. La follia è l’anticipo della morte. Ma è
anche la sua presenza sconfitta, schivata in questi indizi di ogni giorno, che
annunziando che essa regna già, indicano che la sua preda sarà un ben magro
bottino. Ciò che la morte smaschera non è nient’altro che maschera; per
scoprire il ghigno dello scheletro, è bastato sollevare qualcosa che non era né
verità né bellezza, ma soltanto volto di gesso e d’orpello.»
«La sostituzione del tema della follia e quello della morte non segna una rottura ma piuttosto una torsione all’interno della stessa inquietudine. È sempre in causa il nulla dell’esistenza, ma questo nulla non è più considerato come termine esterno e finale, allo stesso tempo una minaccia e una conclusione; è sentito dall’interno, come forma continua e costante dell’esistenza»
«Sotto le sue
diverse forme, plastiche o letterarie, questa esperienza dell’insensato sembra
di un’estrema coerenza. Pittura e testo rinviano continuamente l’una all’altro,
qui il commento, là l’illustrazione»
«Tra il verbo e l’immagine,
tra ciò che è raffigurato dal linguaggio e ciò che è detto dalla plastica, la
bella unità comincia a disgregarsi; un solo e unico significato non è loro
immediatamente comune. E se è vero che l’immagine ha ancora la vocazione di dire, di trasmettere qualcosa di
consustanziale al linguaggio, bisogna riconoscere che, ormai, essa non dice più
la stessa cosa; e che la pittura, per mezzo dei suoi valori plastici
particolari, si immerge in un’esperienza che si allontanerà sempre più dal
linguaggio, a dispetto dell’identità superficiale del tema. Figura e parola illustrano
ancora la stessa favola della follia nello stesso mondo morale; ma esse
prendono già due direzioni diverse, indicando, in un’incrinatura ancora appena
percepibile, quella che sarà la grande linea di separazione nell’esperienza
occidentale della follia»
«Il grylle non ricorda più all’uomo, in forma
satirica, la sua vocazione spirituale dimenticata nella follia del desiderio.
Esso è la follia divenuta Tentazione: tutto ciò che c’è in lui di impossibile,
di fantastico, di inumano, tutto ciò che indica in lui la contronatura e il
formicolio di una presenza insensata a fior di terra, tutto ciò appunto gli
conferisce il suo strano potere: la libertà dei suoi sogni, sia pure
spaventosa, i fantasmi della sua follia hanno per l’uomo del XV secolo un
potere d’attrazione maggiore della realtà desiderabile della carne» (p. 26)
La follia rappresentata
attraverso le immagini dell’arte nel XV secolo affascina in quanto è sapere,
sapere tragico.
Nella Renaissance «i temi letterari,
filosofici, morali della follia hanno tutta un’altra nervatura»
«Il fatto è che la
follia non è generalmente legata al mondo e alle sue forme sotterranee, ma
piuttosto all’uomo, alle sue debolezze, ai suoi sogni e alle sue illusioni.
Tutto ciò che c’era di oscura manifestazione cosmica nella follia vista da Bosch,
è cancellato in Erasmo; la follia non spia più l’uomo ai quattro angoli del
mondo; essa si insinua in lui, o piuttosto, è un rapporto sottile che l’uomo
intrattiene con se stesso»
«La follia non ha
tanto a che fare con la verità e con il mondo, ma piuttosto con l’uomo e con la
verità di se stesso che egli sa intravedere.
Essa introduce
quindi un universo interamente morale. Il Male non è punizione o fine dei
tempi, ma solo colpa e difetto»
«Nel dominio
espressivo della letteratura e della filosofia, l’esperienza della follia nel
XV secolo prende soprattutto la piega di una satira morale. Niente richiama
quelle grandi minacce d’invasione che ossessionavano l’immaginazione dei
pittori»
«Mentre Bosch,
Brueghel e Dürer erano spettatori terribilmente terrestri, e implicati nella
follia che vedevano sorgere intorno a loro, Erasmo la scorge abbastanza da
lonatno da essere fuori pericolo; egli l’osserva dall’alto del suo Olimpo; e se
canta le sue lodi è perché può riderne del riso inestinguibile degli dei… La
follia non è più la familiare stranezza del mondo; essa è solo uno spettacolo
ben noto allo spettatore estraneo; non più simbolo del cosmos, ma tratto di carattere dell’aevum.
Tale può essere,
in una ricostruzione frettolosa, lo schema di opposizione tra un’esperienza
cosmica della follia nella vicinanza di queste forme affascinanti e un’esperienza
critica della stessa follia nella distanza incolmabile dell’ironia»
«malgrado tante
interferenze ancora visibili, la separazione è avvenuta; la distanza fra le due
forme di esperienza della follia non cesserà più di allargarsi. Le figure della
visione cosmica e i movimenti di riflessione morale, l’elemento tragico e l’elemento critico, andranno ormai sempre più
separandosi, aprendo nell’unità profonda della follia una frattura che non sarà
mai più colmata»
«Con Brandt, con
Erasmo, con tutta la tradizione umanistica, la follia è accolta nell’universo
del discorso. Essa viene raffinata, sottilizzata, ma anche disarmata … Può
darsi che ogni uomo le sia sottomesso, ma il suo regno sarà sempre meschino e
relativo; perché essa si mostrerà agli occhi del saggio nella sua mediocre
verità. Per costui diventerà oggetto, e nel modo peggiore, perché sarà l’oggetto
del suo riso … La follia può avere l’ultima
parola, essa non è mai l’ultima
parola della verità del mondo; il discorso con cui essa si giustifica deriva
solo da una coscienza critica dell’uomo»
«La coscienza
critica della follia si è andata sempre più illuminando, mentre i suoi aspetti
tragici si oscuravano progressivamente. Questi ultimi saranno presto del tutto
evitati. Per molto tempo, si faticherebbe a trovarne la traccia; solo alcune
pagine di Sade e l’opera di Goya testimoniano che questa sparizione non
significa annientamento, che questa esperienza tragica sussiste ancora
oscuramente nella notte del pensiero e dei sogni, e che nel XVI secolo non si è
trattato di una distruzione radicale, ma soltanto di un occultamento. L’esperienza
tragica e cosmica della follia è stata mascherata dai privilegi esclusivi di
una coscienza critica … Sotto la coscienza critica della follia e le sue norme filosofiche
o scientifiche, morali o mediche, una sorda coscienza tragica non ha cessato di
vegliare.
È lei che le
ultime parole di Nietzsche, le ultime visioni di Van Gogh, hanno ridestato. È
lei che indubbiamente Freud ha cominciato a presentire all’estremità del suo
cammino: sono le sue grandi lacerazioni che egli ha voluto simbolizzare con la
lotta mitologica della libido e dell’istinto di morte. È lei, infine, quella
coscienza, che è giunta a esprimersi nell’opera di Artaud, in quest’opera che
dovrebbe suggerire al pensiero del nostro secolo, se vi prestasse attenzione,
la domanda più urgente, quella che dà le vertigini a colui che la pone; in
quest’opera che non ha cessato di proclamare che la nostra cultura aveva
perduto il suo focolare tragico il giorno in cui aveva respinto da se stessa la
grande follia solare del mondo, le lacerazioni in cui si compie senza sosta “la
vita e la morte di satana il Fuoco”.
Sono queste estreme scoperte ed esse sole che ci consentono oggi di giudicare infine che l’esperienza della follia che si estende a partire del XVI secolo fino a oggi deve la sua fisionomia particolare e l’origine del suo significato a questa assenza, a questa notte e a tutto ciò che le riempie. Bisogna interpretare in una dimensione verticale la bella rettitudine che conduce il pensiero razionale fino all’analisi della follia come malattia mentale; sarà chiaro allora che sotto ognuna delle sue forme essa maschera in modo più completo, e anche più pericoloso, questa esperienza tragica, che tuttavia non ha potuto domare del tutto. Nel punto estremo della coercizione era necessaria la deflagrazione alla quale assistiamo a partire da Nietzsche»
M. Foucault, Storia della follia.
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