PERCHÉ LA NOSTRA COSTITUZIONE È UNA COSTITUZIONE DEMOCRATICA?
Ci si interroga da sempre sulla natura del ‘politico’, sulle sue categorie fondamentali. In genere le teorie che risultano da questi interrogativi fanno riferimento all’uso legittimo della forza. Si tratta di riflessioni importanti poiché, a meno di visioni ireniche, con quell’uso bisogna fare i conti. Ma se la vita politica fosse tutta racchiusa nelle categorie del politico così rinvenute e si desse una definizione della democrazia sulla base di queste categorie, si perderebbe il significato della democrazia come valore politico e con esso l’essenziale della dimensione politica dell’esistenza umana.
Di ciò che sia la “politica” ha scritto, secondo me efficacemente, H. Arendt nel suo Vita activa. Il riferimento è alla polis greca in cui il bios politikos (la vita politica) era la forma di vita di uomini liberati dalla necessità, ossia dalla riproduzione della mera vita biologica.
Nella polis l’uomo acquisisce, accanto alla dimensione naturale ma nell’indipendenza da essa, il bios politikos. Nella polis, secondo quanto dice Aristotele, due erano le attività proprie del bios politikos: l’azione (praxis) e il discorso (lexis). Il discorso acquisirà prevalenza sulla pura azione basata sulla manifestazione di forza. «Essere politici, vivere nella polis, voleva dire che tutto si decideva con le parole e la persuasione e non con la forza e la violenza. Nella concezione greca, costringere gli altri con la violenza e imporre invece di persuadere costituivano relazioni prepolitiche caratteristiche della vita fuori della polis» (H. Arendt).
Tuttavia nella polis il bios politikos era reso possibile dal fatto che la produzione volta alla soddisfazione dei bisogni legati alle necessità vitali era confinata nella dimensione domestica, dove si riproducevano rapporti di dominio. Si pensi all’esistenza degli schiavi.
Detto questo, io penso che se c’è una definizione adeguata della democrazia è quella di un regime politico che risolve la contraddizione della polis greca; un regime politico che garantisce per tutti il bios politikos; una società di liberi ed uguali che ha espunto da sé ogni forma di schiavitù o altre forme di sfruttamento del lavoro.
Utopia direte. No. È il programma implicito nella nostra Costituzione e precisamente all’articolo 3 dove è detto che è compito della Repubblica, ossia dello Stato, rimuovere gli ostacoli sociali ed economici che, limitando di fatto libertà ed eguaglianza (e quel “di fatto” pesa come un macigno sul mero riconoscimento formale delle stesse), impediscono la partecipazione dei lavoratori alla vita di quella polis che si chiama nazione Italia.
Ciò non significa che si possa superare la distinzione tra governanti e governati in una fantomatica democrazia diretta, ma che la distinzione è contingente e variabile, che l’essere governanti non dipende da uno status acquisito per nascita, per investitura divina o per censo, che l’operato dei governanti è sottomesso costantemente al giudizio dei governati, che hanno il diritto ma anche il dovere di conoscere adeguatamente le scelte compiute dai governanti/rappresentanti e le ragioni delle stesse.
Il dettato dell’articolo 3 della costituzione ha un valore programmatico. Su di esso andrebbero perciò valutati i programmi politici e ogni intervento sugli assetti degli organi costituzionali.
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