RIPENSARE L'ECONOMIA POLITICA. LA LEZIONE DI KARL POLANYI



Il nostro modo di intendere l’economia costituisce un serio ostacolo per una comprensione esatta dei fenomeni economici. Quando usiamo il termine economia intendiamo ormai solo un insieme di moventi particolari e di scopi molto specifici piuttosto che un sistema di mezzi di sussistenza e una specifica tecnologia. Alla luce di una simile nozione riduttiva di economia, «invece delle caratteristiche permanenti e costanti di tutte le economie umane, sono quelle meramente transitorie e contingenti che appaiono essenziali» (K. Polanyi, Il ruolo dell’economia nelle società antiche, Einaudi 1983, p. 10). In ultima analisi è l’innaturale influenza sulla società del sistema di mercato che determina la riduzione del significato della nozione di economia.
Furono i fisiocratici a generare il concetto di economia, contestualmente all’emergere del mercato inteso come meccanismo offerta-domanda-prezzo. Questo meccanismo comincia a prodursi quando il commercio, «un’istituzione molto più antica dei mercati e indipendente da essi», penetrò nella vita quotidiana. Gli inventori dell’economia come scienza non intesero il campo dei fenomeni messo in luce come «una sfera dell’esistenza sociale», ossia come una manifestazione storica di quella sfera, ma pensarono al mercato come la base economica universale di ogni società. In più Quesnay produsse il concetto di produit-net, «una chimera del rapporto fra uomo e natura di cui l’economia è un aspetto». In realtà il rapporto uomo-natura «non conosce costi né profitti e non è una serie di atti che producono un sovrappiù» (K. Polanyi, Il ruolo dell’economia nelle società antiche, Einaudi 1983, p. 31). Lo stesso plusvalore di Marx discende dalla nozione di produit-net di Quesnay. In entrambi casi è un concetto che distorce, piuttosto che chiarire, quel rapporto
Tra il 1815 e il 1845 il meccanismo offerta-domanda-prezzo divenne la legge dominante dell’economia. «La fondamentale dipendenza dell’uomo dalla natura e dai suoi simili per assicurare i mezzi necessari per la sua sopravvivenza, fu posta sotto il controllo di quella nuova creazione istituzionale estremamente potente, il mercato, che si sviluppò repentinamente da modeste origini» (K. Polanyi, Il ruolo dell’economia nelle società antiche, Einaudi 1983,  p.32)
L’economia di mercato doveva portare, con una certa necessità,  alla società di mercato. Il mercato potè costituirsi come istituzione fondamentale di tutto il processo economico a seguito della trasformazione della terra e del lavoro in merce; essendo terra e lavoro solo modi diversi di definire l’uomo e la natura. «La finzione della merce affidò il destino dell’uomo e della natura al giuoco di un automa», di un meccanismo controllato esclusivamente dagli incentivi della fame (timore di perdere i mezzi di sussistenza») e del guadagno («profitto»)
La stessa autocomprensione dell’uomo risultò modificata. Si ritenne di potere distinguere i moventi dell’uomo in due classi: materiali e ideali. Quindi si ritenne che gli incentivi su cui si organizza la vita materiale riguardano esclusivamente gli interessi materiali. L’uomo reale finì col coincidere con quello mosso  da quest’ultimi interessi. Conseguentemente si ritenne che le istituzioni della società fossero tutte determinate dal sistema economico. Infine la razionalità fu ridotta a quella forma che determina i fini sulla base dei mezzi a disposizione. «L’azione razionale in quanto tale è quella che pone i fini in relazione ai mezzi». Da questa impostazione derivò un criterio utilitaristico del valore» (è razionale preferire il pane agli ideali eroici) ma anche l’affermazione del «criterio di verifica dell’efficacia» su base scientifica.
A questo tipo di razionalismo, come pure al razionalismo politico che l’aveva preceduto, sfuggono tanto la realtà quanto la natura delle istituzioni politiche. Si assiste ad una vera e propria eclisse del pensiero politico e lo Stato viene inteso come un disturbo del perfetto meccanismo di mercato. «Ora la proprietà di un uomo, il suo guadagno e il suo reddito, il prezzo dei suoi beni, erano “giusti” soltanto se si erano formati nell’ambito del mercato: e quanto alle leggi, solo quelle che si riferivano alla proprietà e ai contratti erano veramente importanti. Ora le multiformi istituzioni del passato relative alla proprietà e le leggi sostanziali che formavano la costituzione della polis ideale non avevano più un oggetto a cui riferirsi» (K. Polanyi, Il ruolo dell’economia nelle società antiche, Einaudi 1983, p. 40). Le stesse scienze sociali furono ridotte a «puntelli dei modi di pensare economicistici» (K. Polanyi, Il ruolo dell’economia nelle società antiche, Einaudi 1983, p. 41).
Di fronte a questo economicismo è necessario, per Polanyi, ristabilire il posto reale dell’economia nella società. Il primo passo in questa direzione consiste nel distinguere, relativamente al termine “economia”, due significati che «hanno radici separate e indipendenti». Il primo significato è riconducibile alla «natura logica della relazione mezzi-fini» e da essa deriva la definizione di economico basata sulla scarsità.
Il secondo significato, che a differenza del primo è sostanziale, rinvia alla naturale dipendenza degli uomini dai loro simili e dalla natura. In questa seconda accezione l’economia è intesa come «processo istituzionalizzato di interazione che ha la funzione di provvedere ai mezzi materiali della società» (K. Polanyi, Il ruolo dell’economia nelle società antiche, Einaudi 1983, p. 60)
Questi due significati non hanno nulla in comune. Nella sua accezione sostanziale, l’economia si occupa dell’interazione istituzionalizzata degli uomini con l’ambiente naturale. Dunque l’economia si occupa dei mezzi materiali di cui gli uomini si servono per la soddisfazione dei loro bisogni.

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